Recentemente mi sono occupata di una questione che mi ha fornito lo spunto per approfondire il seguente tema: il datore di lavoro è sempre obbligato ad applicare un certo ccnl?
Ritengo interessante, in particolare, far chiarezza sulla materia e riportare i principi chiave sull’argomento.
L’efficacia dei ccnl.
Il contratto collettivo nazionale di lavoro, come noto, è un accordo stipulato tra le organizzazioni rappresentative dei lavoratori e quelle rappresentative dei datori di lavoro, ed è fondamentale per la regolamentazione dei molteplici aspetti che caratterizzano il rapporto lavorativo.
All’interno del ccnl applicato, infatti, troviamo numerose disposizioni di tipo normativo ed economico, tra cui i minimi contrattuali dovuti al dipendente, il periodo di preavviso, le regole applicabili in caso di malattia e infortunio, i tipi di comportamento che possono dar luogo ad un licenziamento o far comunque scattare un procedimento disciplinare, e così via.
Nell’ottica dei padri costituenti (cfr. art. 39 Cost.), i sindacati avrebbero dovuto acquisire la personalità giuridica, a seguito di uno specifico processo da normare legislativamente, al fine di aver la possibilità di stipulare contratti collettivi con efficacia erga omnes.
Come sappiamo, ciò non è mai concretamente avvenuto, i sindacati sono “semplici” associazioni non riconosciute, e pertanto i ccnl non hanno mai acquistato efficacia obbligatoria nei confronti di tutti i datori di lavoro e di tutti i lavoratori, ma sono rimasti contratti di diritto privato, la cui efficacia è, pertanto, più limitata.
Quale sarà, quindi, il ccnl applicabile?
La scelta del ccnl: quale applicare?
Anzitutto, se l’azienda è iscritta all’associazione sindacale firmataria di un certo Ccnl, essa dovrà applicare integralmente il contratto sottoscritto dall’associazione alla quale ha conferito mandato.
In secondo luogo, indipendentemente dall’iscrizione o meno ad una associazione di categoria, il datore di lavoro sarà tenuto comunque a garantire al dipendente la “retribuzione minima”, come disciplinata all’interno dei cd. contratti collettivi di categoria sottoscritti dalle associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (cfr. Cassazione n. 27138/2013: “In tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice, anche se il datore di lavoro non aderisca ad alcuna delle organizzazioni sindacali che lo hanno sottoscritto, può assumere a parametro il contratto collettivo di settore, con riferimento limitato ai soli titoli previsti dal CCNL che integrano il concetto di giusta retribuzione, costituita dai minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva e con esclusione, pertanto, dei compensi aggiuntivi, degli scatti di anzianità e delle mensilità ulteriori rispetto alla tredicesima”).
Ed inoltre, cfr. sul punto T. Roma sez. lav., 15/10/2020, n.6373, secondo cui: “risulta corretto l’operato dell’Ispettorato territoriale del lavoro il quale ha ritenuto, in base alla legge, di applicare al rapporto di lavoro i minimi salariali riconosciuti dal CCNL sottoscritto dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative nel settore … invece dei minimi salariali del CCNL individuato dall’azienda … essendo notoria la maggiore rappresentatività delle organizzazioni sindacali storiche sotto il profilo del numero dei lavoratori rappresentati”.
In genere, infine, il datore di lavoro sceglie di applicare il ccnl di categoria che più si avvicina all’attività svolta e al settore di propria competenza.
Non sono infrequenti, tuttavia, le dispute in sede giudiziale, in cui le parti contrapposte (da un lato datore di lavoro e, dall’altra, lavoratore) invocano l’applicazione di due diversi ccnl.
Come dirimere la questione e, pertanto, come comprendere quando il datore di lavoro è soggetto alla applicazione di un certo contratto collettivo?
La sentenza della Corte di Cassazione n. 22367/2019
I Giudici della Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ci spiegano in maniera dettagliata chi sono i soggetti vincolati all’applicazione di un certo ccnl.
Il fatto analizzato dalla Cassazione è facilmente riassumibile: un lavoratore viene licenziato per superamento del periodo di comporto, il datore di lavoro sostiene l’applicabilità di un ccnl che prevede la conservazione del posto di lavoro per 180 giorni (con conseguente legittimità del licenziamento intimato a partire dal 181° giorno di malattia), il dipendente sostiene l’applicazione di altro ccnl, in cui il comporto è invece garantito per 365 giorni (con conseguente illegittimità di un recesso intimato al dipendente in malattia, tra il 181° e il 365° giorno).
Tribunale e Corte d’Appello di Reggio Calabria accolgono la domanda del ricorrente, sostenendo che il contratto collettivo che voleva applicare la società non poteva essere scelto nel caso di specie, non avendo il datore di lavoro dimostrato né la propria adesione alla associazione firmataria di quel ccnl (Confcommercio), tenuto altresì conto che né i riferimenti contenuti nella lettera di assunzione e nelle buste paga versate in atti erano sufficienti a provare detta affiliazione, non avendo prodotto la ricorrente il c.c.n.l. del settore terziario.
La società ha proposto ricorso per Cassazione, e i giudici di legittimità hanno fornito i seguenti principi di diritto: “i contratti collettivi di lavoro non dichiarati efficaci “erga omnes” ai sensi della legge 14 luglio 1959 n. 741, costituendo atti di natura negoziale e privatistica, si applicano esclusivamente ai rapporti individuali intercorrenti tra soggetti che siano entrambi iscritti alle associazioni stipulanti, ovvero che, in mancanza di tale condizione, abbiano fatto espressa adesione ai patti collettivi e li abbiano implicitamente recepiti attraverso un comportamento concludente, desumibile da una costante e prolungata applicazione delle relative clausole ai singoli rapporti (vedi Cass. 8/5/2009 n.10632). Ne consegue che, ove una delle parti faccia riferimento, per la decisione della causa, ad una clausola di un determinato contratto collettivo di lavoro, il giudice del merito ha il compito di valutare in concreto il comportamento posto in essere dal datore di lavoro e dal lavoratore, allo scopo di accertare, pur in difetto della iscrizione alle associazioni sindacali stipulanti, se dagli atti siano desumibili elementi tali da indurre a ritenere ugualmente sussistente la vincolatività della contrattazione collettiva invocata” (tra le tante, Cass. n. 24336/2013).
Conclusioni
L’applicazione di un dato contratto collettivo, pertanto, può essere imposta al datore di lavoro quando il datore stesso sia iscritto alle organizzazioni sindacali datoriali stipulanti, oppure quando sia il contratto individuale a fare rinvio al Ccnl, o infine quando l’applicazione del ccnl medesimo sia desumibile per fatti concludenti (“L’adesione ad un contratto collettivo può essere anche tacita e per fatti concludenti, ravvisabili nella concreta applicazione delle relative clausole”, Cass. n. 18408/2015).
Avv. PhD Giorgia Barberis