Quando il trasferimento del lavoratore è in frode alla legge, è sufficiente l’impugnazione del solo licenziamento?

Analisi della sentenza Cassazione civile sez. lav., 17/12/2020, n.29007

  1. Il caso
    Il Tribunale di Roma, con sentenza 436/2018, al termine di un procedimento ex lege n. 92 del 2012 instaurato da un lavoratore nei confronti della propria azienda, ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al medesimo, ordinando alla società di reintegrarlo e risarcire il danno subito.
    Successivamente la Corte d’Appello, in accoglimento del reclamo proposto in via incidentale dal lavoratore ed in parziale riforma dell’impugnata sentenza, ha respinto il ricorso principale del datore di lavoro, ed ha parzialmente modificato le conclusioni cui era giunto il Tribunale dichiarando la nullità del licenziamento perchè intimato in frode alla legge.
    Ciò in quanto:
  • la società, in esecuzione di precedente pronuncia del Tribunale di Roma n. 8938/2016, con cui era stato annullato un primo licenziamento intimato nel 2014, aveva disposto la reintegra del lavoratore non presso il negozio dove era in precedenza occupato, ma presso altro punto vendita;
  • cinque giorni dopo la reintegra, la società aveva comunicato l’avvio di una procedura per riduzione del personale mediante licenziamento collettivo di nove dipendenti, tra cui proprio il lavoratore reintegrato.
    La riassunzione presso questa nuova sede e il repentino licenziamento sono parsi, alla Corte d’Appello, un atto in frode alla legge, per eludere l’applicazione delle disposizioni imperative in materia di limitazione alle facoltà datoriali di recesso e per sottrarre la società all’ordine di reintegra disposto dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 8938/2016.
    La società ha però opinato che il trasferimento ad altra sede non era stato tempestivamente impugnato, e ciò avrebbe potuto comportare l’impossibilità di impugnare il licenziamento.
    E’ corretta questa ricostruzione?
    Prima di analizzare la pronuncia della Corte di Cassazione, che è stata adita dalla società datrice di lavoro, mi preme analizzare la regola generale in materia.
  1. Il trasferimento, il licenziamento e l’impugnazione: le regole generali
    Il trasferimento del lavoratore, come noto, consiste in uno spostamento definitivo del dipendente senza limiti di durata da una sede di lavoro ad un’altra, ed è disciplinato dall’art. 2103 c.c., a sensi del quale: “il lavoratore non può essere trasferito da un’unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”.
    Il lavoratore, pertanto, potrà essere trasferito solo se vi siano motivazioni dimostrabili da parte dell’azienda (ad es.: nella precedente sede non sussiste più la necessità di impiegare quel dipendente), fermo restando il diritto dell’imprenditore a scegliere la migliore soluzione organizzativa.
    Inoltre, il dipendente che ritenga illegittimo il trasferimento, potrà tout court rifiutarsi di recarsi presso la nuova sede che gli è stata assegnata?
    In linea di massima, occorrerà prima valutare se effettivamente il provvedimento datoriale è sproporzionato ed eccessivamente gravoso per il dipendente (cfr. ex multis Tribunale , Venezia , sez. lav. , 09/09/2020 , n. 208: in tema di trasferimento adottato in violazione dell’ art. 2103 c.c., l’inadempimento datoriale non legittima in via automatica il rifiuto del lavoratore ad eseguire la prestazione lavorativa … la parte adempiente può rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico solo ove tale rifiuto, avuto riguardo alle circostanze concrete, non risulti contrario alla buona fede e sia accompagnato da una seria ed effettiva disponibilità a prestare servizio presso la sede originaria).
    Il lavoratore, inoltre, potrà dimettersi per giusta causa in certe situazioni particolari (ad es., qualora rifiuti un trasferimento di oltre 50 km dalla sua residenza o mediamente raggiungibile in oltre 80 minuti con i mezzi pubblici, cfr. messaggio INPS 26/01/2018 n. 369 e circolari 142/2012 e 142/2015).
    Infine, qualora intenda contestare il provvedimento datoriale, dovrà:
    a) valutare se vi siano gli estremi per impugnare il trasferimento: in tal caso, l’impugnazione dovrà essere comunicata entro 60 giorni, cui dovrà seguire il deposito del ricorso presso la cancelleria del Tribunale competente entro 180 giorni;
    b) in caso non si presenti presso la nuova sede lavorativa (avendo però garantito la sua disponibilità a restare presso la precedente sede) e venga licenziato dal datore di lavoro, dovrà altresì impugnare il licenziamento, nei medesimi termini sopra descritti (60+180).
    Pertanto, qualora il dipendente venga licenziato per motivi connessi al trasferimento (ad es., per essersi rifiutato di trasferirsi), per regola generale non potrà impugnare soltanto il licenziamento ma dovrà impugnare, nei termini di legge, anche il trasferimento.
    Cfr. sul punto Cassazione civile , sez. lav. , 12/08/2015 , n. 16757: “In caso di licenziamento dovuto al rifiuto del lavoratore di trasferirsi ad altra sede, la sua legittimità è valutabile in giudizio solo se il trasferimento sia stato impugnato nei termini di legge”.
  2. Il licenziamento nel caso di specie e l’omessa impugnazione del trasferimento
    La regola analizzata nel precedente paragrafo parrebbe dare ragione alla datrice di lavoro, la quale ha adito la Corte di Cassazione, lamentando fra il resto che il dipendente era ormai decaduto dalla possibilità di impugnare il trasferimento, e quindi il Giudice non avrebbe potuto analizzare la legittimità o meno del licenziamento.
    La Corte di Cassazione, tuttavia, è giunta alle medesime conclusioni della Corte d’Appello, ed ha infatti affermato che “l’avere tempestivamente impugnato l’atto finale della condotta illecita assunta dalla parte datoriale, esonerava il lavoratore dalla necessità di contestare la legittimità del provvedimento emanato dalla società nell’esercizio dello jus variandi”.
    Si tratta di una modifica dell’orientamento giurisprudenziale precedente?
    In verità no, in quanto nel caso di specie si è verificato un elemento ulteriore rispetto alla normalità delle situazioni, che è la cd. “frode alla legge”.
    In particolare, non solo il datore di lavoro ha posto in essere un trasferimento senza che, probabilmente, ne ricorressero le ragioni ex art. 2103 c.c., ma ha agito ponendo in essere un meccanismo fraudolento – articolato in una serie di condotte “apparentemente” lecite posto in essere dalla società (reintegra – trasferimento in diversa sede – licenziamento collettivo), che ha condotto alla definitiva espulsione del lavoratore, dall’assetto organizzativo aziendale.
    Il vero scopo dal datore, quindi, era quello di aggirare l’ordine di reintegrazione derivante dalla precedente decisione del Tribunale, ed infatti ha riassunto il dipendente in una sede di destinazione che era in perdita da anni, e in cui si sarebbe giunti a breve ad una riduzione del personale.
    La Corte ha quindi ben spiegato il concetto di frode alla legge, che non è stato previsto dai legislatore solo per i contratti, ma è utilizzabile anche per gli atti unilaterali, quale il licenziamento.
    E, inoltre, ha ricordato che “presupposto indefettibile affinchè si possa parlare di contratto in frode alla legge è che il negozio posto in essere non realizzi quella che è una causa tipica – o comunque meritevole di tutela ex art. 1322 c.c., comma 2, bensì una causa illecita in quanto finalizzata alla violazione della legge (vedi in motivazione Cass. 6/4/2018 n. 8499), non può non concludersi per la conformità a diritto degli approdi ai quali è pervenuta la Corte di merito la quale ha dichiarato la nullità dell’atto di licenziamento, integrante ipotesi di illiceità della causa del contratto perchè finalizzata alla elusione delle norme imperative in materia di limitazione alle facoltà datoriali di recesso dal rapporto di lavoro, e, segnatamente, all’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro ed al rispetto delle disposizioni che scandiscono la procedura di licenziamento collettivo ex lege n. 223 del 1991; così non realizzando alcuna violazione delle disposizioni codicistiche richiamate (artt. 1344 e 1345 c.c.) applicabili chiaramente anche agli atti unilaterali (con precipuo riferimento alla norma dettata dall’art. 1345 c.c., vedi Cass. 19/10/2005 n. 20197)”.
    Infine, sulla doglianza sollevata dalla società, relativa alla mancata impugnazione del trasferimento, ha evidenziato che, “poiché il trasferimento integrava un elemento della complessa fattispecie che definiva la prospettata frode alla legge … in tale prospettiva, non era configurabile alcuna autonoma necessità di impugnazione del singolo atto costitutivo della complessa fattispecie frodatoria, considerato lo stretto legame logico-giuridico intercorrente fra i due provvedimenti (trasferimento – licenziamento collettivo) e la funzione strumentale assunta nella dinamica contrattuale, dal trasferimento stesso presso una sede che già aveva evidenziato una presenza di personale esuberante rispetto alle esigenze dell’impresa”.
    La Corte di Cassazione, quindi, ha concluso per il rigetto del ricorso depositato dall’azienda e per la conferma della sentenza della Corte d’appello.
  3. Conclusioni.
    Sulla base di quanto sopra, in tema di trasferimento illegittimo e di successivo licenziamento, può conlcudersi che, per regola generale, se si viene licenziati per motivi connessi al trasferimento (come un rifiuto a prestare attività lavorativa nella nuova sede), in caso si ritenga che il trasferimento è illegittimo, occorrerà impugnare sia il trasferimento stesso che il successivo recesso di parte datoriale.
    Qualora, tuttavia, il trasferimento integri un elemento di un complesso di atti che siano in frode alla legge, allora non è configurabile alcuna autonoma necessità di impugnazione del singolo atto costitutivo della complessa fattispecie frodatoria, ma è sufficiente l’impugnazione dell’ultimo atto (ovvero del licenziamento).
    Avv. PhD Giorgia Barberis
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