Con ordinanza n. 22288 del 5 dicembre 2019, la Corte di Cassazione ha affermato che non sempre una serie di provvedimenti disciplinari, pur dichiarati illegittimi, porta alla constatazione del mobbing. Infatti, affinché tali comportamenti possano costituire indice di una condotta assimilabile al mobbing, è necessario che sia evidenziata, in maniera concreta, una finalità persecutoria.
Il caso ha riguardato un lavoratore, dipendente di una banca, che negli anni aveva sempre operato con la massima diligenza e professionalità, il quale negli ultimi mesi del rapporto di lavoro aveva ricevuto una serie di reiterati provvedimenti (trasferimenti, contestazioi disciplinari, esonedi dal servizio, ecc), illegittimi e ingiustificati, adottati dalla direzione generale, tutti impugnati dinanzi al giudice del lavoro.
Secondo il lavoratore, tutti i provvedimenti disciplinari adottati dal datore di lavoro erano frutto di un disegno complessivo finalizzato alla sua emarginazione ed estromissione dall’azienda, cosa avvenuta con dimissioni rassegnate per giusta causa. Con ricorso deduceva che ciò gli aveva causato danni patrimoniali (perdita di chance) e non patrimoniali alla salute ma la domanda, sia in primo sia in secondo grado di giudizio, veniva respinta.
La Corte d’Appello riteneva che i vari provvedimenti (disciplinari e non) adottati dalla banca, seppur risultati in gran parte illegittimi, non avevano carattere offensivo in quanto trovavano comunque fondamento in circostanze oggettive che consentivano di spiegare le ragioni della loro adozione. Infatti, la sentenza impugnata ha accertato che il trasferimento del gennaio 2008 aveva interessato una pluralità di titolari di Agenzia, inserendosi in un più vasto programma di riorganizzazione aziendale.
Dello stesso parere sono i giudici di legittimità secondo cui i provvedimenti adottati dal datore di lavoro erano fondati su fatti non pretestuosi, seppur ritenuti di volta in volta e per diversi motivi, illegittimi in sede giudiziale. Dato il reale collegamento con l’attività aziendale non era possibile qualificare gli stessi come persecutori, ingiuriosi e lesivi e, quindi, non era possibile ritenere sussistente un fenomeno di mobbing.
Pertanto, il provvedimento aziendale basato su fatti reali, anche se giudicato illegittimo, non costituisce affatto indice di persecuzione verso il dipendente, necessario ai fini della configurazione del mobbing.
A cura dell’Avv. Lillo Di Carlo
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