IL WELFARE AZIENDALE E LA NORMATIVA DI RIFERIMENTO
L’aver partecipato, come relatrice, ad un recente Webinar sui servizi di welfare aziendale, organizzato dallo studio legale Lexant e da HR Camelot, mi ha fornito lo spunto per studiare e approfondire la normativa di riferimento in tale ambito, di cui ritengo interessante riportare i punti essenziali.
1) Le norme coinvolte
Anzitutto, la normativa che disciplina questo settore è pressoché interamente a matrice fiscale, e la ritrovo nel TUIR (ovvero nel Testo Unico delle imposte sui redditi) nonché in alcune leggi di bilancio (in particolare quelle risalenti agli anni 2016, 2017 e 2018) che hanno apportato modifiche rilevanti sul tema.
Vi sono poi alcune circolari e risoluzioni dell’Agenzia delle entrate, che interpretano e definiscono puntualmente le norme presenti nel TUIR e nelle leggi di bilancio e stabilità; infine, dobbiamo avere presenti i CCNL di settore, che contengono ulteriori disposizioni in materia.
2) In particolare, il TUIR (Legge 22 dicembre 1986 n. 917) e le Leggi di bilancio.
Il Testo unico delle imposte sui redditi è entrato in vigore nel 1986 e rappresenta, ancora oggi, il principale quadro normativo per quanto riguarda i servizi e gli strumenti di welfare aziendale (cfr. artt. 49 / 52, che danno l’inquadratura normativa al reddito da lavoro dipendente, e l’art. 100, che definisce il reddito delle imprese).
L’art. 51, nello specifico, chiarisce al primo comma che il reddito da lavoro (in conformità al cd. principio di onnicomprensività), “è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”, mentre al secondo comma vengono riportate tutte le esclusioni dal reddito stesso, tra cui ricorrono proprio i servizi e i beni che rientrano nel welfare.
Tra tali beni e servizi, posso elencare i seguenti:

  • Spese per assistenza sanitaria integrativa (sono contributi per l’assistenza sanitaria fruibile presso enti o case di cura con fine esclusivamente assistenziale);
  • Buoni pasto (che rientrano tra le prestazioni sostitutive di mensa e possono essere destinati a tutto il personale, ad es. sia a dipendenti a tempo pieno che part time, sia a collaboratori che stagisti, e anche quando il contratto di lavoro non preveda una pausa pranzo). Peraltro, è stata recentemente ampliata la platea degli esercizi che possono erogare il servizio sostitutivo di mensa, e in cui quindi i buoni pasto sono spendibili (non solo bar e ristoranti, ma anche ad es. mercati ed agriturismi);
  • Servizi di trasporto casa-lavoro (abbonamenti mensili, plurimensili e annuali, con esclusione dei biglietti orari o giornalieri con una durata oraria). L’abbonamento può essere comprato direttamente dal datore di lavoro, oppure può essere rimborsato al lavoratore;
  • Spese per l’istruzione e la formazione, (cfr. Circolare n.28 del 15 giugno 2016 Ag. Entrate), tra cui rientrano le spese sostenute dal dipendente a favore dei propri famigliari, ad es. per le tasse scolastiche o per i libri di testo;
  • Contributo per l’assistenza a familiari anziani o non autosufficienti. Si tratta di un supporto che viene fornito ai lavoratori che necessitano di operatori socio-assistenziali per far fronte alla cura di un familiare anziano o non autosufficiente.
    Inoltre, a sensi art. 12 TUIR, i benefit possono essere a favore dei dipendenti ma anche dei loro familiari (tra cui rientrano il coniuge non legalmente ed effettivamente separato, i figli, compresi quelli adottati o affidati, ma anche genitori, suoceri, fratelli e sorelle), anche se non fiscalmente a carico.
    Come anticipato, il TUIR è un testo molto importante in materia di Welfare che, tuttavia, risale al 1986: è chiaro che, nel corso degli anni, esso ha subito modifiche e rinnovamenti e, in particolare, è importante soffermarsi sulle novità apportate dalle Leggi di Bilancio negli anni 2016, 2017 e 2018.
    Esse hanno avuto il pregio di aumentare i servizi di protezione sociale che possono essere offerti dai datori di lavoro (pensiamo alla mensa, ai trasporti, agli asili nido, ai servizi sanitari, ai libri di testo, alle vacanze estive e così via) che, sino a quel momento, erano prerogativa dei soli dipendenti di multinazionali o aziende di medie e grandi dimensioni, più facilmente in grado di sostenere volontariamente gli oneri delle prestazioni offerte ai propri lavoratori.
    Ad esempio, nel 2016, sono stati introdotti i cd. Voucher, ossia documenti di legittimazione – sia cartacei sia elettronici – che sono usati per erogare beni, prestazioni, opere e servizi ai dipendenti, che vanno considerati come veri e propri titoli di credito personali, e danno diritto al dipendente di ottenere beni e servizi di vario tipo presso i fornitori convenzionati con l’impresa (ad es., posso recarmi presso l’asilo nido convenzionato e pagare la retta o parte di essa utilizzando il voucher).
    Inoltre, è stato ampliato il ventaglio dei possibili servizi di educazione e istruzione anche in età pre-scolare, che il datore di lavoro può riservare ai dipendenti (è stata inclusa, ad esempio, la frequenza a ludoteche e centri estivi e invernali).
    E’ stato altresì modificato l’art. 51 del TUIR, limitando la tassazione sui premi di produttività al 10%, ovvero riducendola a zero se il dipendente sceglie di convertire in welfare il premio.
    Nel 2017, invece, sono stati maggiormente ampliati gli incentivi fiscali legati al premio di produttività, ed è stata prevista la possibilità, per il datore di lavoro, di stipulare a favore del lavoratore, come servizio di welfare, assicurazioni extra-professionali (rendendo quindi non imponibili i contributi e i premi versati), a copertura del rischio di non autosufficienza nel compimento degli atti della vita quotidiana, o aventi per oggetto il rischio di gravi patologie (siamo quindi su avvenimenti che sono slegati dall’attività lavorativa, ma sono invece collegati ad “atti della vita quotidiana” e a malattie gravi).

Nel 2018, infine, è stata ampliata la parte dedicata al trasporto pubblico, prevedendo una particolare detrazione delle spese sostenute per l’acquisto di abbonamenti ai servizi di trasporto locale, regionale e interregionale.
Dopo il 2018, invece, non vi sono stati novità o stravolgimenti rilevanti.
3) I vantaggi per il lavoratore e per il datore di lavoro che aderiscono a piani di Welfare.
Fra i dipendenti, anzitutto, si registrano vantaggi in termini di incremento del potere di acquisto delle retribuzioni, nonché di ottenimento di una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Le aziende, invece, possono ottenere un potenziamento delle performance lavorative dei dipendenti e del clima interno (con ripercussioni positive sulla produttività aziendale) e, soprattutto, ottimizzare il costo del lavoro facendo leva sulle agevolazioni fiscali previste dal T.U.I.R.
Vi sono infatti, come anticipato, significativi sgravi fiscali e contributivi sia per l’azienda sia per i dipendenti che, peraltro, variano a seconda della natura del contributo welfare.
Per ottenere queste agevolazioni occorre, anzitutto, che l’offerta dei servizi sia promossa in aggiunta alla normale retribuzione del lavoratore, e non sostituisca somme di competenza di quest’ultimo.
Inoltre, le somme, i beni e i servizi previsti in un piano di welfare devono essere rivolti alla generalità dei dipendenti, o a categorie omogenee di essi (es.: ai dirigenti, ai quadri, agli impiegati, agli operai; oppure: a chi ha più di due figli, a chi fa il turno di notte) e non devono essere poste in essere scelte discriminatorie fra i lavoratori a cui destinare i servizi welfare.
Non si devono privilegiare alcuni dipendenti e non altri, senza un criterio di collegamento fra i medesimi, in quanto in questo caso si ricade nelle erogazioni ad personam, che costituiscono fringe benefits e concorrono pertanto alla formazione del reddito di lavoro dipendente per gli utilizzatori (l’esenzione fiscale è solamente sotto una certa soglia, di basso valore).
E’ importante, infine, verificare se il piano di welfare è di tipo contrattuale ovvero unilaterale.
Per welfare contrattuale si intende l’insieme di beni e servizi che traggono origine dal contratto collettivo applicato, oppure da un accordo sottoscritto con i sindacati, mentre è considerato welfare unilaterale quello erogato al lavoratore per iniziativa volontaria del datore di lavoro, senza negoziazione o accordo con le rappresentanze dei dipendenti.
La differenza fondamentale tra le due forme di welfare attiene essenzialmente ai limiti di deducibilità dal reddito d’impresa da parte del datore di lavoro: se ad esempio l’erogazione è prevista dal CCNL, l’ammontare è definito nel CCNL stesso, e la deducibilità dei contributi è piena o comunque elevata (i contratti collettivi che prevedono contributi obbligatori sono: metalmeccanici; metalmeccanici unionmeccanica/confapi; orafi, argentieri e gioiellieri; telecomunicazioni; pubblici esercizi; contratto collettivo provinciale industria conciaria).
Il limite di deducibilità nel caso di erogazioni volontarie del datore di lavoro, invece, è riconosciuto in un limite più basso (art. 100 TUIR).
4) Quale riflessione per il futuro?
Certamente, a seguito del diffondersi della pandemia, le aziende hanno dovuto reinterrogarsi su ciò che possa essere maggiormente apprezzato dai dipendenti come servizio aggiuntivo alla ordinaria retribuzione.
Ad es., il tema della sicurezza e della protezione dai rischi di contagio è diventato centrale nella gestione aziendale, e alcune aziende hanno messo a disposizione fondi per far fronte alla domanda di servizi sanitari di vario genere, dalla distribuzione di mascherine alla offerta di controlli e di strumenti diagnostici.
Inoltre, si è diffuso in maniera esponenziale lo smart working, e ciò ha avuto un sicuro impatto sui trasporti e sul tipo di servizio che i dipendenti possano considerare più utile per la gestione della famiglia e della propria vita extra lavorativa.
Ciò in quanto, ad esempio, alcuni dipendenti hanno avuto meno necessità di spostarsi (lavorando da casa), ma hanno avuto maggior bisogno di fondi per assistere minori e anziani. Oppure, al contrario, alcuni datori di lavoro hanno dovuto organizzare servizi di trasporto privati a favore di quei lavoratori, la cui attività non può essere svolta in smart working, e che si son trovati di fronte ad una grave carenza di mezzi pubblici per la riduzione delle corse prevista per far fronte all’epidemia.
Ed ancora, con lo smart working si è posto il dilemma: buoni pasto si o buoni pasto no?
Alcuni datori di lavoro hanno continuato a corrisponderli anche a favore dei lavoratori in home working, altri ne hanno interrotto la consegna. Sul tema, poiché l’Agenzia delle Entrate ha recentemente affermato che nulla cambia, ai fini della tassazione fiscale, se il dipendente che beneficia dei buoni pasto rende la prestazione in ufficio o in altro luogo, si potrebbe pensare, per il futuro, di estendere sempre i buoni pasto a favore di chi è in smart working, prevedendo tale agevolazione come regola generale (cfr. Ag. E., risposta a Interpello n. 956-2631/2020).
Altro aspetto su cui si potrebbe ragionare è quello attinente ai mezzi di trasporto cd. “eco friendly”.
Questo in quanto, tra gli abbonamenti che rientrano nei servizi di welfare e che sono rimborsabili dal datore di lavoro a favore del lavoratore, oggi sono compresi quelli usufruibili sui mezzi “classici”, come treno o autobus. Un ulteriore passo avanti, a favore della mobilità cd. “green”, potrebbe essere quella di includere in questi rimborsi anche gli abbonamenti a mezzi come il car sharing o il bike sharing, che oltre ad essere molto diffusi sono anche a favore della sostenibilità ambientale.
Vi è stata, su questo ultimo punto, una proposta parlamentare che, tuttavia, non è stata approvata nell’ultima legge di bilancio (l. bilancio 2021), ma che non è detto non venga ripresa in futuro.
5) Conclusioni
Alla luce di quanto sopra, è evidente che l’attenzione verso questo tipo di servizi sta diventando sempre più grande e che il novero delle agevolazioni che possono essere messe a disposizione dai dipendenti, e che possono “fruttare” al datore di lavoro sottoforma di sgravio contributivo e fiscale, sta subendo un costante ampliamento.
Si tratta quindi di un tema che, credo, ci riserverà molte novità e numerosi aggiornamenti nel prossimo futuro.

Avv. PhD Giorgia Barberis

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