COSA POSSIAMO ASPETTARCI?
Il lavoro agile (o smart working), quale particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, si è diffuso in maniera esponenziale a seguito dell’emanazione della normativa emergenziale durante l’epidemia da Covid – 19.
Infatti, a far data dal mese di marzo 2020, i datori di lavoro hanno potuto accedere a delle forme semplificate di smart working, derogando all’obbligo di stipulare un previo accordo individuale con il dipendente prima di attivare questa modalità di esecuzione della prestazione lavorativa.
Tale deroga, peraltro, è stata prorogata nel corso dei mesi e, da ultimo, è stato recentemente confermato che la disciplina semplificata sarà fruibile sino al 31 dicembre 2021, sia per i datori di lavoro privati, sia per le P.A. (cfr. il D.L. 30 aprile 2021, n. 56 nonché la Legge 17 giugno 2021, n. 87).
Cosa ci si deve aspettare, tuttavia, quando cesserà lo stato di emergenza?
Per ora è possibile fare soltanto delle previsioni; all’interno di questo articolo analizzerò la normativa applicabile in periodi ordinari, evidenziandone le differenze con la procedura semplificata.

  1. La procedura standard, ex l. 81/2017.
    Il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, senza vincoli orari o spaziali, ma organizzato per fasi, cicli e obiettivi.
    Esso è disciplinato dalla l. 81/17 (artt. 18 ss.), la quale richiede la sottoscrizione di uno specifico accordo tra dipendente e datore di lavoro e presuppone una certa flessibilità e autonomia, la volontarietà di entrambe le parti, nonché l’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).
    Tale legge, in particolare, prescrive:
    a) Che all’interno dell’accordo non siano stabiliti precisi vincoli di orario o sede, ma che la prestazione vada comunque vincolata ai limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale;
    b) Che l’accordo specifichi le forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro e le modalità di utilizzo degli strumenti che il dipendente ha a disposizione;
    c) Che sia disciplinato il diritto alla disconnessione, per garantire le pause durante l’attività lavorativa;
    d) Che si possa prevedere una modalità di utilizzo del lavoro agile a termine o a tempo indeterminato, con particolari tempistiche di recesso;
    e) Che il trattamento del dipendente in smart working sia esattamente quello applicato (lato economico e normativo) ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni in azienda;
    f) Che sia possibile, oltre a richiamare il ccnl applicato e il codice disciplinare, prevedere specifiche condotte che siano disciplinarmente rilevanti (es: l’inosservanza da parte del lavoratore della policy in tema di divieto di condivisione di informazioni industriali contenute all’interno degli strumenti tecnologici messi a disposizione dall’azienda; il mancato collegamento da parte del lavoratore nelle fasce orarie concordate). Le sanzioni applicabili (conservative e non conservative) resteranno, però, quelle già previste nel ccnl applicato;
    g) Che sia consegnata, da parte del datore di lavoro, al lavoratore, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta in cui sono individuati i rischi generali e specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro;
    h) Che il dipendente sia assicurato presso l’INAIL per eventuali infortuni occorsi fuori dalla normale sede, o anche per quelli avvenuti durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali (cfr. circolare INAIL 48/17).
  2. La procedura semplificata adottabile sino al 31/12/21.
    A far data dal mese di marzo 2020, nell’ambito delle misure adottate per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, il Governo è intervenuto sulle modalità di accesso al lavoro agile, prevedendo una procedura semplificata per la gestione dei dipendenti in smart working, in quanto considerato un metodo essenziale e necessario per ridurre gli assembramenti e quindi il diffondersi del contagio.
    In particolare, ai fini di tutelare la salute nazionale, è stato previsto che:
  • venga attuato il massimo utilizzo, da parte delle imprese, delle modalità di lavoro agile per le attività che possono essere svolte al proprio domicilio o a distanza;
  • che lo smart working possa essere applicato, per la durata dello stato di emergenza, ad ogni rapporto di lavoro subordinato e anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla legge;
  • che gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81 (secondo cui “il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro”) siano assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro;
  • che si possa ricorrere alla procedura semplificata per comunicare l’attuazione dello smart working. In particolare, il Ministero del lavoro ha reso disponibile un template Excel da compilare con alcuni dati, tra cui i seguenti: Codice Fiscale del datore di lavoro; Codice Fiscale del lavoratore e suoi dati anagrafici; Posizione assicurativa territoriale INAIL; Data di inizio e di fine del periodo di lavoro agile.
    Come sappiamo, peraltro, lo “smart working” che è stato realizzato in questi due anni si avvicina molto di più al telelavoro che al vero e proprio lavoro agile.
    Infatti, mentre il Telelavoro è una prestazione lavorativa svolta al di fuori del contesto aziendale, ma con modalità e tempistiche identiche a quelle dell’attività svolta in sede, lo Smart Working vero e proprio dovrebbe permettere l’introduzione di una nuova concezione del tempo e dello spazio di lavoro, che può eventualmente includere il lavoro da remoto.
    Ad esempio, nel telelavoro si comunica un’unica sede di lavoro, mentre il lavoro agile ha, quali sedi, quelle che il lavoratore identifica essere tali. Inoltre nel lavoro agile, pur riferendosi generalmente all’orario previsto dal contratto individuale di lavoro, la collocazione temporale dell’attività svolta non è obbligatoria (anche se va comunque concordata una fascia oraria di massima, al fine di limitare l’attività lavorativa ad un orario non notturno).
    Pertanto, con lo smart working si dovrebbe lavorare per obiettivi, e dalla sede che più si preferisce, senza particolari vincoli di orario, mentre il telelavoro è più limitante in termini di flessibilità; nella pratica, invece, le aziende hanno domandato ai propri dipendenti in smart working di rispettare lo stesso orario cui erano tenuti in ufficio, e di scegliere un unico indirizzo da cui effettuavano l’attività, autorizzando di fatto il cd. telelavoro.
  1. E per il futuro? L’accordo individuale e quello sindacale.
    Come anticipato, la legge 81/2017 prevede che, per avviare il lavoro agile, occorra sottoscrivere un accordo individuale con il dipendente. Inoltre, se pur non obbligatoria, è altresì prevista la firma di un accordo aziendale, sottoscritto con i sindacati (si tratta di un ordinario contratto aziendale di secondo livello), in cui si possono definire tutte le regole che riguardano la prestazione lavorativa svolta a distanza.
    In caso venga predisposto l’accordo sindacale, esso dovrà essere depositato al Ministero del Lavoro, tramite la piattaforma telematica: cliclavoro.gov.it.
    Ebbene, al termine del periodo emergenziale, poiché la l. 81/2017 prevede la sottoscrizione quantomeno di un accordo individuale tra datore di lavoro e dipendente, è lecito ritenere che le aziende debbano, in previsione, prevedere la stipula di tale testo qualora vogliano continuare a concedere lo smart working ai propri dipendenti.
    Occorre tenere conto, peraltro, che non vi è un obbligo in capo al datore di lavoro di concedere lo smart working (ad eccezione di quanto previsto dalla normativa emergenziale) né sussiste un diritto del dipendente di ottenerlo.
    Pertanto, l’azienda potrà differenziare tra singoli lavoratori (magari prevedendo l’esecuzione in lavoro agile solo per alcuni di essi), contemplando anche diverse condizioni all’interno di ogni singolo accordo individuale, in considerazione delle diverse caratteristiche di ciascun dipendente coinvolto.
  2. I ticket restaurant
    Nel corso di questi mesi, si è posta la questione relativa all’obbligo o meno, incombente sui datori di lavoro, di consegnare i ticket restaurant ai dipendenti che già ne usufruivano, e che – causa covid – sono stati posti in smart working.
    Il principio generale è questo: non sussiste un obbligo specifico in capo all’azienda di concedere i buoni pasto ai dipendenti in smart working, né vi è, al contrario, un divieto in tal senso.
    Il datore di lavoro, pertanto, rimane libero di decidere se mantenere o meno i buoni pasto, salvo che nel contratto individuale se ne preveda la concessione sempre, anche in caso di lavoro agile.
    Tuttavia, al fine di incentivare la concessione di tale benefit, recentemente l’Agenzia delle Entrate si è espressa a mezzo dell’interpello n. 956-2631/2020, fornendo chiarimenti rispetto al seguente quesito: il servizio sostitutivo di mensa mediante buoni pasto, laddove il datore di lavoro li corrisponda anche ai lavoratori che praticano lo smart working, fruisce del particolare e più favorevole regime fiscale previsto dall’art. 51, comma 2 lett. c) del TUIR ?
    La risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate è stata in senso positivo, ed è stato quindi chiarito che il datore di lavoro che riconosce i buoni pasto ai lavoratori in smart working non è tenuto ad applicare la ritenuta a titolo di acconto Irpef sul valore dei buoni. Questo in conformità al panorama lavorativo attuale, sempre più caratterizzato da forme di lavoro flessibili.
    Sulla base dei recenti interventi dell’Ente tributario, pertanto, possiamo concludere che, anche dopo la cessazione del periodo emergenziale, varranno i seguenti principi: l’azienda non deve necessariamente riservare i buoni pasto ai lavoratori da remoto, ma in caso opti per il mantenimento, avrà diritto all’applicazione di tutte le agevolazioni fiscali normalmente previste.
  3. Il diritto alla disconnessione
    Una delle problematiche che si è presentata nel corso di questi ultimi anni, a seguito della diffusione del lavoro agile, è la seguente: svolgere attività lavorativa dalla propria abitazione, con un utilizzo costante di strumenti digitalizzati, può essere nocivo per la salute e creare una pressione e uno stress costanti, potendo anche provocare l’insorgenza di malattie professionali come l’ansia, la depressione o il burnout.
    E’ pertanto necessario garantire al dipendente il cd. “diritto alla disconnessione”, che è definibile, in base alla previsione contenuta nella Legge sul lavoro agile (comma 1 dell’articolo 19 della Legge 81/2017) come l’insieme delle misure tecniche ed organizzative, che hanno come scopo quello di garantire la salute ed il benessere del lavoratore in smart working, attraverso la previsione di periodi in cui l’interessato può dedicarsi alle proprie esigenze di vita e personali.
    Occorre evitare, in particolare, che il lavoratore sia costantemente connesso sulle chat aziendali o reperibile al cellulare, per scongiurare la possibilità che sia contattabile in ogni fascia oraria e senza alcun ragionevole criterio. Ciò anche al fine di non vanificare il principale fine dello smart working, che non è solo quello di proteggere il dipendente dalla pandemia da covid – 19 (scopo circoscritto al periodo emergenziale) ma soprattutto quello di permettere un buon bilanciamento tra vita professionale e vita privata.
    Inoltre, proprio al fine di rafforzare questo aspetto, il DDL di conversione del decreto-legge n. 30 del 2021 (DDL 2191/2021) riconosce il diritto alla disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche e dalle piattaforme informatiche in favore dei dipendenti che svolgono l’attività lavorativa in modalità agile. Ciò, nel rispetto degli eventuali accordi sottoscritti dalle parti e fatti salvi eventuali periodi di reperibilità concordati.
    Si chiarisce, inoltre, che l’esercizio del diritto alla disconnessione, necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore, non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi.
    Sul punto, infine, il Garante della Privacy, in audizione al Parlamento lo scorso 13 maggio, ha sottolineato la necessità che venga assicurato in modo più netto il diritto alla disconnessione. Il Presidente, in particolare, ha evidenziato: “Va inoltre assicurato – in modo più netto di quanto già previsto – anche quel diritto alla disconnessione, senza cui si rischia di vanificare la necessaria distinzione tra spazi di vita privata e attività lavorativa, annullando così alcune tra le più antiche conquiste raggiunte per il lavoro tradizionale. Per garantire, dunque, che le nuove tecnologie rappresentino un fattore di progresso (e non di regressione) sociale, valorizzando anziché comprimendo le libertà affermate sul terreno lavoristico, è indispensabile garantirne la sostenibilità sotto il profilo democratico e la conformità ad alcuni irrinunciabili principi”.
    Come garantire, concretamente, questo diritto?
    Prevedendo, ad es., delle fasce di reperibilità, andando così a sottoindere che, a contrariis, la disconnessione deve essere garantita al di fuori di quell’orario.
    Oppure dotando il dipendente di dispositivi che possano essere disattivati, per evitare la ricezione di comunicazioni aziendali oltre l’orario di lavoro o nei periodi di assenza legittimati.
    E’ importante, altresì, sensibilizzare il personale dipendente, soprattutto manageriale, sulla rilevanza di questo diritto e sull’utilizzo corretto degli strumenti di lavoro, affinchè anche a livello apicale venga dato il buon esempio con riguardo al rispetto degli spazi privati.
    E’ evidente, ad esempio, che se i manager aziendali, in maniera sistematica, inoltrano mail e comunicazioni ai componenti del proprio team al termine dell’orario di lavoro, per i lavoratori sarà molto più difficile esercitare concretamente il diritto alla disconnessione.
  4. Conclusioni
    Sulla base di quanto sopra possiamo affermare che, al termine del periodo emergenziale, rientreranno pienamente in vigore le disposizioni di cui alla l. 81/17, con tutto ciò che ne consegue in termini di maggiori adempimenti formali.
    Ci si attende, pertanto, che venga emanato al più presto un intervento legislativo, in quanto è probabile che il lavoro agile farà sempre più parte delle nostre vite, in maniera esponenziale rispetto al periodo pre covid, ed è difficile credere che una mole così ampia di attività lavorativa da remoto possa essere gestita esclusivamente con la vecchia normativa.
    Occorrerà, ad esempio, interrogarsi sulla reale necessità di procedere con la sottoscrizione di un accordo individuale per attivare lo smart working. Non sarebbe possibile, ad esempio, prevederne l’attivabilità già all’interno del contratto di assunzione?
    E’ possibile, poi, che si senta la necessità di rafforzare ulteriormente il diritto alla disconnessione, in quanto se da un lato il rispetto dell’orario di lavoro e della sua prevedibilità è essenziale per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle loro famiglie, è altresì necessario garantire autonomia e flessibilità, al fine di consentire ai lavoratori di organizzare il proprio orario di lavoro in base alle esigenze e responsabilità personali.

Infine, potrebbe essere utile ragionare sulla possibilità di rendere obbligatoria la consegna dei ticket restaurant ai lavoratori in modalità agile, qualora essi ne godano quando lavorano in sede: si tratta infatti di un benefit molto caro e utile ai lavoratori, che peraltro non avrebbe costi maggiori a carico del datore di lavoro, come chiarito dall’Agenzia delle Entrate. Avv. PhD. Giorgia Barberis

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